I PROCESSI EVOLUTIVI DEL LEONE
Secondo il biologo zoologo O’ Brien, la specie africana (Panthera leo) e la razza indiana (Panthera leo persica) avrebbero lo stesso progenitore vissuto tra la fine del Pleistocene medio e l’inizio dell’ultima glaciazione del Würm tra i 200.000 e i 55.000 anni fa.
Anche perché la criniera è un tratto somatico acquisito dai leoni in tempi relativamente recenti, 300.000-200.000 anni fa, e in Europa, e probabilmente anche nel Nord America, i leoni con la criniera coesistettero con quelli senza criniera fino da circa 300.000 anni fa.
Durante i processi evolutivi, altri discendenti di questo antenato, erano di casa in luoghi dove oggi i leoni sono assenti, in areali molto vasti e habitat, ben diversi dagli attuali, con sottospecie e razze ormai estinte.
Tra queste ricordiamo il Leone delle caverne americano (Panthera leo atrox), di cui si sono trovati scheletri fossili nel Nord America, e il Leone delle caverne (Panthera leo spelaea), eurasiatico, con scheletri fossili rinvenuti in Siberia, Russia, Polonia.
GLI STUDI DEGLI ZOOLOGI
Oggi molti biologi zoologi ritengono che tutti i leoni africani, che vivono in diverse aree dell’Africa subsahariana, in realtà dovrebbero essere considerati un’unica sottospecie che filogeneticamente deriva dal Leone atlantico o berbero (Panthera leo leo).
Ma altri autori sostengono che attribuire alla Panthera leo una sola sottospecie o razza, la Panthera leo persica, endemica delle isolate foreste indiane del Gir, è in verità molto riduttivo.
Basta per esempio osservare la criniera, ben evidente nei leoni africani e un po’ meno in quelli indiani che hanno però una vasta fascia ventrale, che muta di colore e dimensioni secondo l’area geografica, oltre che per effetto dei livelli di testosterone plasmatico.
Quando questa si sviluppa nei maschi, verso il terzo anno di vita, col raggiungimento della maturità sessuale, l’aspetto più o meno imponente ed i colori intensi, dal marrone scuro o marrone bruciato, al quasi nero, non dipende solo da fattori endocrino-sessuali, ma dall’ambiente stesso.
Nei giardini zoologici del Nord Europa e Nord America, per esempio, le criniere sono più folte, probabilmente per proteggere l’animale dalle temperature più rigide, mentre i fratelli di una stessa cucciolata, cresciuti in giardini zoologici tropicali, hanno colore e dimensioni diverse.
LE CLASSIFICAZIONI E LE DIFFERENZE MORFOLOGICHE ED ETOLOGICHE
Tale insieme di fattori ha portato alcuni zoologi, a considerare che il Panthera leo, oltre al Panthera leo persica, possa vantare le seguenti sottospecie o razze geografiche.
Tra le estinte:
- Panthera leo spelaea vissuto probabilmente tra 300.000-10.000 anni fa nel Pleistocene superiore.
- Panthera leo europea vissuto probabilmente fino al 100 d.C., detto anche Leone europeo. Era diffuso tra i Balcani, l’Italia, la Francia meridionale e la Spagna del nord. Fu sterminato, dalla caccia spietata ad opera dei Romani, Macedoni, Galli e Iberici. In quel periodo, in Italia come in Francia, erano presenti ampie foreste temperate, a cui poi ha fatto seguito, per mutamenti climatici e processi di urbanizzazione, una modificazione degli ecosistemi, in particolare con un’avanzamento in Italia della tipica macchia mediterranea.
- Panthera leo sinhaleyus il leone dello Sri Lanka o leone di Ceylon.
- Panthera leo vereshchagini il leone delle caverne della Siberia orientale e della Beringia.
- Panthera leo youngi il leone delle caverne della Cina nord-orientale vissuto nel Pleistocene, circa 350.000 anni fa.
- Panthera leo leo il Leone Berbero o Atlantico o Marocchino estinto nel 1946. Fino ai primi del ’ 900, i biologi lo classificavano anche come Panthera leo berberisca.
- Panthera leo maculatus estintosi nel 1930, detto anche Leone maculato o Marozoi. Il dibattito tra i biologi zoologi nel considerarlo una sottospecie o razza del Panthera leo subsahriano è ancora particolarmente acceso, poiché la maculazione che presentavano questi leoni, secondo alcuni autori era da ritenersi opera di una ibridazione biologica involontaria dovuta all’accoppiamento casuale tra un leone e un leopardo (Panthera leo maschio x Panthera pardus femmina o viceversa).
- Panthera leo melanochaita il Leone del Capo estinto nel 1860.
Tra le specie ancora viventi:
- Panthera leo persica confinato nelle foreste del Gir in India, ove ne sono presenti solo 350 esemplari, sebbene in passato, fosse presente anche in Bangladesh, Turchia e Medio Oriente. Facile preda dei bracconieri perché preferisce cacciare di giorno, piuttosto che la notte.
- Panthera leo goojratensis il vero leone indiano, secondo molti zoobiologi ormai estinto.
- Felis leo roosevelti il Leone abissino oggi classificato come Panthera leo roosevelti. Con questo nome, veniva identificata nella prima metà del secolo scorso, una sottospecie etiope dalla criniera nera, attualmente anche se ne sopravvivono qualche decina di esemplari, non la si considera più una razza geografica distinta del Panthera leo.
- Panthera leo bleyenberghi detto Leone del Katanga o leone dell’Africa sud-occidentale.
- Panthera leo hollisteri il Leone del Congo.
- Panthera leo krugeri il leone del Sud Africa, o leone dell’Africa sud-orientale.
- Panthera leo massaicus il Leone Masai, presente in Kenya e Tanzania.
- Panthera leo somaliensis il Leone somalo.
- Panthera leo nubica il Leone dell’Africa orientale.
- Panthera leo senegalensis il Leone del Senegal o dell’Africa occidentale.
- Panthera leo verneyi il Leone del Kalahari, in questa razza o sottospecie i biologi hanno osservato un’etologia e anatomia più spiccatamente differenziate dal Panthera leo rispetto alle altre elencate.
Questa classificazione non è comunque accettata da tutti, sebbene siano indubbie alcune differenze morfologiche ed etologiche nelle popolazioni delle diverse aree geografiche.
LE VARIAZIONI NATURALI DEL MANTO
A) IL LEUCISMO
Sono state osservate un certo numero di variazioni naturali, talora facilitate dall’allevamento in cattività.
Per quanto riguarda la variazione detta leucismo (manto di colorazione bianca), la si osserva saltuariamente in leoni endemici di Timbavati, in Sud Africa, i Panthera leo krugeri che sono fra l’altro quelli di taglia maggiore, visto che i maschi raggiungono anche i 260 kg con una lunghezza di 2,97 m, e le femmine i 190 kg con 1,90 m.
Gli animali sono detti leucisti se c’è la presenza di un manto e una criniera completamente bianchi (leucismo: dal greco λευκοσ, leucos, bianco).
Il leucismo è causato dall’espressione di un gene recessivo (chiamato chincillà o color inhibitor) deputato all’inibizione dell’espressione della melanina (il cromopigmento che colora il manto, la pelliccia, le piume degli animali, compresa la cute umana) ad opera dei melanociti, che trovandosi nella combinazione di omozigosi causano questa variazione.
In particolare non si può parlare di una sottospecie distinta nel caso dei leoni leucisti, ma di un caso di polimorfismo genetico, legato ad una condizione di leucismo che causa una colorazione pallida e simile a quella delle tigri bianche.
B) IL MELANISMO
La condizione è simile, anche se con effetti opposti, al melanismo tipico della pantera nera (Felis pardus) e del giaguaro nero (Panthera onca). Questo è confermato anche dalla colorazione dei suoi occhi, che non è rossa, tipica degli animali albini, ma è uguale a quella dei suoi simili non bianchi (wild type), generalmente azzurra.
Questa colorazione penalizza i leoni in natura perché vengono avvistati facilmente dalle prede, che riescono così a fuggire: un leone bianco in natura, è quindi spesso condannato alla morte per inedia.
C) L’ALBINISMO
Ricordando che l’albinismo è una anomalia ereditaria consistente nella deficienza o degenerazione della pigmentazione melanica nella pelle, nei peli, capelli, piume, coroide, iride caratterizzata da un fenotipo recessivo, che determina la carenza dell’enzima tirosinasi associato all’albinismo oculo-cutaneo, e pertanto si manifesta in individui nati dall’incrocio di due genitori entrambi albini o eterozigoti per questo fenotipo.
In natura non colpisce solamente l’essere umano, ma anche altri mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, si presenta con vari gradi pericolosità, quindi si va dall’albinismo oculare, a quello oculo-cutaneo che colpisce tutto il corpo, all’albinismo parziale e infine all’ albinismo totale il più pericoloso perché il corpo è totalmente privo di melanina e è praticamente tutto bianco, gli stessi capelli sono color paglierino e fragilissimi.
I leoni leucisti inoltre, differiscono dagli organismi albini perché non sono caratterizzati da eliofobia, quella ipersensibilità alla luce che per l’esposizione prolungata al sole determina danni gravi per la vista e per il corpo negli albini.
Anzi, avendo un albedo (dal latino albedo, “bianchezza”, da album, “bianco”: la capacità di riflettere la luce) elevato, sono al contrario più resistenti al sole delle specie normali o melaniche perché assorbono una minor frazione di raggi.
Recentemente però si sta affacciando un’altra ipotesi, confermata dalla biologia molecolare, secondo cui il leucismo, potrebbe essere determinato da fenomeni di epistasi ad opera di geni regolatori-inibitori, che agiscono, perché attivati nei leoni leucisti, antagonizzando il/i gene/i che regola/no l’espressione della melanina.
I leoni leucisti nascono quasi completamente bianchi, senza le normali macchie di camuffamento che si trovano nei cuccioli di leone. Il loro colore si scurisce gradualmente, fino a diventare crema o color avorio, colore noto con il nome di biondo.
LE IBRIDAZIONI
Circa le ibridazioni, i leoni sono stati fatti accoppiare con le tigri (più spesso quelle dell’Amur e del Bengala) per creare ibridi chiamati Ligri e Tigoni, con i leopardi per dare Leoponi e con i giaguari per dare Giagleoni.
Il Marazoi è a quel che si suppone un leone maculato o un leopone prodotto naturalmente, mentre il leone maculato congolese è un complesso ibrido leone/giaguaro/leopardo chiamato Leogiagleop.
Alcuni ibridi erano una volta allevati comunemente negli zoo, ma questa attività è stata ora scoraggiata dall’enfasi data dalla conservazione delle specie e delle sottospecie. Ibridi sono ancora allevati in allevamenti privati e zoo in Cina.
IL LIGRE
Il Ligre è un incrocio tra un leone maschio e una tigre femmina. Poiché il progenitore leone porta un gene promotore della crescita (che regola l’espressione dell’ormone somatotropo o della crescita anche detto del gigantismo, GH), ma il corrispondente gene inibitore della crescita proveniente dal tigre femmina è assente, i ligri raggiungono dimensioni maggiori di quelle d’entrambi i loro genitori.
Con macchie e strisce su uno sfondo color sabbia, mostrano gli aspetti fisici ed comportamentali di entrambe le specie di genitori. I ligri maschi sono sterili, ma i ligri femmine sono spesso fertili.
IL TIGONE
Il meno comune Tigone è un incrocio tra una leonessa e una tigre maschio. Poiché il maschio di tigre non porta un gene promotore della crescita e la leonessa porta un gene inibitore della crescita, i tigoni sono spesso relativamente piccoli, pesando solamente non più di 180 chilogrammi, il 20% in meno dei leoni. Come i ligri, hanno tratti fisici e comportamentali di entrambe le specie di genitori e i maschi sono sterili, mentre le femmine possono essere fertili.
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